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Il contesto in cui opera Starch: Claudio Beretta fa il punto sulla digitalizzazione | Intervista 3/4

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  • marzo 7, 2022 |

contesto-starch-intervista-claudio-beretta Il contesto in cui opera Starch nelle parole del fondatore Claudio Beretta

Qualche settimana fa abbiamo realizzato un'intervista al fondatore di Starch, l’arch. Claudio Beretta, facendogli rivivere la storia dell’azienda e i suoi plus.
Tuttavia, questi non sono gli unici argomenti che abbiamo sviscerato: abbiamo voluto approfondire anche il contesto attuale nel quale la realtà sta operando, distinguendo tra situazione italiana ed europea.
Nelle prossime righe, le sue parole.

Lettura veloce:

Il contesto italiano: il punto sulla digitalizzazione

In merito alla digitalizzazione, come vede l’Italia oggi? Siamo ancora indietro o le aziende hanno capito quanto è importante trasferire sul digitale tutti i propri processi?

“In questa evoluzione al digitale, l’Italia non ha certo brillato.

Possiamo ricercare i motivi di questa reticenza degli italiani al digitale in tanti fattori, ma, a mio parere, ce n’è uno che io reputo sia stato il più determinante.

Una particolare caratteristica della società italiana è che è una società composta da vecchi, dove il potere è saldamente in mano agli anziani.

E’ abbastanza logico pensare che il digitale sia più facile da accettare, anzi promuovere e sposare, da parte delle generazioni più giovani, ma chi ha il potere in Italia non sono i giovani, ma chi comanda sono i vecchi.

Rispetto a tutti gli stati europei noi abbiamo i dirigenti, i banchieri, gli industriali, i sindacalisti, i consiglieri di amministrazione, i dirigenti pubblici, i professionisti, i politici (salvo la vampata dei 5 stelle) più anziani. Lo mostrano chiaramente le statistiche che in Italia la media dell’età di queste categorie di “potenti” è decisamente superiore rispetto agli altri paesi europei.

Un secondo aspetto riguarda la struttura del sistema produttivo italiano, che si basa su piccole imprese. Qui spesso proprietà e gestione si uniscono in una sola persona rappresentata dal capofamiglia, quindi - guarda caso - da un anziano che tendenzialmente è portato a frenare l’evoluzione digitale. Oppure, semplicemente a pensare che la modalità di operare che ha permesso l’evolversi della sua azienda possa valere anche per il futuro.

La politica poi non ha certo puntato sul digitale ed è anche comprensibile: se gli elettori, tendenzialmente non vedevano di buon occhio l’evoluzione al digitale, perchè costringerli o convincerli? Per perdere voti?

Hanno fatto finta di stare al passo con l’Europa, ma sono andati avanti a zig zag e con proroghe su proroghe.

Se chi detiene il potere di dirigere le scelte della società tendenzialmente fa fatica ad accettare il digitale, anzi, spesso lo boicotta, non ci deve stupire che l’Italia, sui 28 paesi dell’unione, si trova al quartultimo posto per l’approccio al digitale, davanti solo a Bulgaria, Grecia e Romania.”

Il contesto europeo: la transizione digitale è molto più avanti

La situazione è migliore se allarghiamo i confini e guardiamo all’Europa?

“Sì, in Europa la situazione è decisamente migliore. Nella classifica della trasformazione digitale, in tutti gli aspetti che vogliamo prendere in considerazione, l’Italia è posta sul fondo della classifica, quindi sicuramente in Europa le cose vanno meglio.

Ad esempio, per l’approccio al digitale del capitale umano, cioè la valutazione della capacità digitale del popolo italiano, noi siamo gli ultimi della classe, siamo al ventottesimo posto.

Il problema è molto grave perché il divario tra i primi in classifica e gli ultimi non consiste in pochi punti, ma l’Italia ha un punteggio che è pari alla metà della Finlandia o della Svezia che sono ai primi posti. Cioè, oltre che in fondo alla lista, siamo distanziati notevolmente.

Quindi, se ci guardiamo attorno, la nostra situazione diventa drammatica, da vergognarsi. Se poi consideriamo che l’Europa è comunque indietro rispetto a Stati Uniti ed Asia, sarei tentato di dire, citando il film di Troisi e Benigni, che “non ci resta che piangere”.

In ogni caso, non dobbiamo farci prendere dallo sconforto, ma accettare la sfida e risalire con volontà e impegno la classifica, perché ce la possiamo fare e ci sono segnali che gli Italiani si stanno accorgendo di quanto possa migliorare la vita con un deciso passaggio al digitale.”

La Pubblica Amministrazione italiana e la sua storica scarsa propensione al digitale

Secondo lei, perché la Pubblica Amministrazione si è sempre dimostrata poco ricettiva in merito alle novità tecnologiche e digitali?

“Sicuramente, il ritardo sul passaggio al digitale è da imputare anche alla Pubblica Amministrazione. La gestione si è dimostrata un grande fallimento che ha portato dei ritardi inaccettabili.
Basta osservare quante volte ha cambiato nome l’Ente che se ne doveva occupare.”

Perché parla del nome?

“E’ un segnale tipico italiano. Quando un Ente fallisce il proprio obiettivo, negli altri Stati vengono cambiati i dirigenti e l’Ente continua.

In Italia no: qui si preferisce mettere una bella pietra sopra, dimenticare il passato, colpe e responsabilità e creare un nuovo Ente, magari mettendoci in testa ancora gli stessi dirigenti di prima. Mi piacerebbe che questa fosse solo una battuta, ma invece è la verità.

Ci racconti meglio…

Chi doveva dirigere il passaggio al digitale della PA all’inizio era l’AIPA, fondata nel 1993. Questa è stata trasformata in CNIPA nel 2003. Poi è diventata DigitPA nel 2009, sciolta nel 2012 per far posto ad AgID, che attualmente resiste in vita. Fino a quando non cambia nome possiamo ben sperare.

Quattro nomi diversi di un Ente che non ha mai cambiato le finalità per cui è stato costituito significa che ci sono stati tre fallimenti.

Letta la storia in questo modo, allora ci si spiega perché la legge che istituisce in Italia la CIE, la carta d’identità elettronica, è del 1997, ma solo nel 2018, vent’anni dopo, tutti i Comuni hanno potuto adottarla con il risultato che la badante rumena di mia suocera ha la CIE, mentre io ho ancora la carta d’identità cartacea.

C’è da dire che AgID, ultimamente, si è messa a funzionare benino e con l’imposizione della fattura elettronica, SPID, CIE, PagoPA ha portato la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione appena sotto alla metà della classifica delle nazioni europee.

Stiamo risalendo la china, e a conti fatti, la digitalizzazione della PA italiana è molto più avanti della digitalizzazione delle attività private. Strano, ma vero!

Ma comunque siamo ancora ben distanti dai servizi digitali che le amministrazioni della maggior parte dei Paesi europei riescono a fornire ai loro cittadini.

C’è voluto forse la pandemia per dare un’ulteriore accelerata, quasi una scossa alla modalità di intendere il rapporto tra pubblico e privato e proiettarlo verso il digitale.

In questi ultimi due anni il cambiamento di passo si è sentito nettamente e noi della Starch riusciamo ora a farci ascoltare dagli Enti Locali, molto più interessati alle nostre proposte per un passaggio ad un sistema digitale più incisivo.”

La chiacchierata non si è conclusa qui: dopo passato e presente, abbiamo voluto sapere qualcosa anche sul futuro del digitale e di Starch. Per leggere cosa ci ha detto l’arch. Beretta, segui questo link.